È difficile scrivere qualche riga su di te, sapendo che non ci sei più e che non potremo stavolta scambiarci i nostri saperi intermittenti, i baluginii e anche i non-saperi sfasati che hanno animato i tanti spazi e tempi del nostro entanglement. Eppure scrivo, certa anche del fallire della scrittura, sulle linee di quel Blanchot che non era abbastanza postumano per te, ed è un peccato perché lo spazio del neutro mi è sempre sembrato tanto prossimo alle tue domande, e la scrittura interrogativa tanto vicina al tuo parlare (mentre la tua scrittura era meno interrogativa, tracciava linee salde, magari complesse, e tuttavia districabili, nel gaudio di chi cominciava a delinearsi leggendoti). Ricordo le tue domande alle quali non ho mai trovato risposte, solo timide ipotesi.
Della parola orale del dialogo non resta traccia, e scriverla è quasi impossibile se non ricreando i suoi ritmi, quindi narrando. Ma non riesco per ora a narrare un dolore come la tua perdita. Ogni cosa avrà i suoi tempi, anche questo tuo legacy che lasci nell’atmosfera.
Ricordo che mi dicesti il tuo libro della svolta a fine anni Sessanta: The Outsider di Colin Wilson. Era anche un autore di fantascienza e di libri su vari esoteristi. Chissà se hai mai letto Dion Fortune. Mi sono dimenticata di chiedertelo.
Avevi forse anche tu una scrittura segreta, di appunti fitti o di momenti in cui l’analogia crea altri mondi, una semantica del nuovo che la salda conduzione saggistica rende solo in parte. “Esistono mondi paralleli”, mi dicesti quasi con nonchalance il 15 agosto 2010 a Livorno. Questo flash eri tu, per me.